[…] le autorità europee, da vent’anni a questa parte, non hanno prodotto una disciplina idonea alla tutela dei dati che sono stati utilizzati negli Usa sulla base di accordi illegittimi […]
[…] E, in effetti, l’attività di studio e consulenza è necessaria e inevitabile, considerato che le leggi europee sulla privacy prevedono sanzioni pecuniarie draconiane per chi viola i precetti […]
Nel limbo il traffico di dati personali verso gli Usa. Dopo la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (Cgue) del 16 luglio 2020, che ha annullato l’accordo Ue/Usa sull’export di dati (Privacy Shield), non si sono viste immediate ripercussioni e i principali operatori interessati hanno, fino a oggi, tutt’al più modificato le loro schede informative sui loro siti internet. Importante precisare che l’argomento in questione è stato affrontato nell’ articolo presente nella nostra pagina web, leggi qui: Privacy Shield a rischio: necessità di ulteriori garanzie per tutelare i diritti fondamentali
Gli Usa rappresentano un problema per la tutela della privacy. Le leggi europee stabiliscono restrizioni al trasferimento extra Ue dei dati dei cittadini europei. È una giusta preoccupazione, perché i dati delle persone fisiche possono andare in posti dove possono essere usati e abusati, con il rischio di grave danno quando dai dati si ritorna alle persone.
Con gli Usa, l’Europa ha sempre incontrato problemi, perché negli Stati Uniti il bilanciamento della privacy individuale con la sicurezza nazionale vede per lo più vincente la sicurezza. Questo già con riferimento a trattamenti di dati di cittadini americani negli Usa (ricordiamo tutti la vicenda del braccio di ferro tra Apple e Nsa a proposito dello sblocco della memoria un cellulare durante le indagini per una strage commessa nel territorio americano).
Ora, la vicenda è incentrata sul fatto che ci sono leggi statunitensi che permettono alle autorità Usa di acquisire i dati ricevuti dalle imprese americane in relazione ad attività commerciali.
Accordi politici e bocciature giudiziarie
Che fare?
Alcune di queste indicazioni sono, però, attività che una singola impresa (magari media o addirittura piccola) non può fare così facilmente. Certo si potrebbe cambiare il fornitore di un servizio di newsletter o di messaggistica, ma bisogna vedere i vincoli contrattuali; certo, in astratto, si può chiedere di rivedere un contratto con il colosso multinazionale, ma in concreto è una cosa non realistica.
Per verificare gli effetti della sentenza del 16 luglio 2020 basta consultare le pagine dei siti internet. Sono pagine in cui a volte le indicazioni non sono cambiate affatto e si continua a fare riferimento al Privacy Shield; altre volte si prende atto della sentenza della Cgue del 16 luglio 2020 e si spiega perché le cose possono proseguire dal momento che si sfruttano strade alternative, salvate a certe condizioni dalla stessa Cgue, come le clausole contrattuali standard. Resta il fatto che la percezione immediata è che ancora bisogna aspettare per capire se ci saranno effetti sostanziali o se si tratta solo di attendere il prossimo accordo.