Negli ultimi anni si è parlato molto di discriminazione di genere. Tuttavia, c’è un punto su cui vale la pena fermarsi a riflettere: le soluzioni proposte sono sempre applicabili, efficaci e proporzionate al contesto reale?

La UNI/PdR 125:2022, prassi di riferimento italiana per la parità di genere in azienda, nasce con obiettivi nobili. Eppure, nell’applicazione concreta, emergono contraddizioni, limiti strutturali e, in alcuni casi, persino effetti controproducenti. Il rischio? Che un meccanismo pensato per combattere la discriminazione di genere finisca per generarla – al contrario.

In questo articolo esploriamo le luci e le ombre della certificazione, a partire da due casi aziendali reali seguiti direttamente da Scanavino & Partners. Per motivi di riservatezza, non possiamo indicare i nomi delle aziende coinvolte, ma si tratta di esperienze concrete che ci hanno permesso di mettere alla prova la norma nella realtà operativa di imprese italiane. L’obiettivo non è criticare per il gusto di farlo, ma stimolare una riflessione più pragmatica e contestualizzata sul tema della discriminazione di genere nel mondo del lavoro.

Cos’è la UNI/PdR 125:2022 – Obiettivo chiaro, ma applicazione complessa

La UNI/PdR 125:2022 è stata introdotta per promuovere l’adozione di un sistema di gestione aziendale finalizzato all’uguaglianza di genere, strutturato su sei ambiti principali.

L’iniziativa rientra tra le misure del PNRR, ed è stata accolta con entusiasmo da istituzioni, associazioni e imprese orientate all’innovazione sociale.
Ma c’è un punto che spesso sfugge: questa norma non è solo etica, è anche tecnica, e in quanto tale, viene trattata spesso come un check da superare, più che come un cambiamento profondo. Questo rischia di svuotarne il senso e alimentare una cultura della forma più che della sostanza.
Le sei aree di valutazione includono:

  • Cultura e strategia dell’organizzazione
  • Governance
  • Processi di gestione HR
  • Opportunità di crescita e inclusione delle donne
  • Equità retributiva
  • Politiche di genitorialità e conciliazione

L’intento è giusto, ma serve realismo: si può davvero trattare allo stesso modo una multinazionale tech da 10.000 dipendenti e una piccola impresa artigiana di provincia? Applicare gli stessi criteri ovunque rischia di alimentare una discriminazione di genere indiretta, specialmente nelle micro-imprese che faticano ad allinearsi a parametri pensati per ben altre dimensioni.

I benefici promessi: tra stimoli reali e incentivi condizionati

La certificazione UNI/PdR 125:2022 promette vantaggi concreti:

  • Sgravi contributivi fino all’1%
  • Punteggio premiale per appalti e bandi pubblici
  • Miglioramento reputazionale
  • Maggiore attrattività verso giovani e talenti
  • Tutela legale preventiva su tematiche di discriminazione di genere

Sulla carta, tutto perfetto. Ma se andiamo oltre la superficie, ci si chiede: questi vantaggi valgono per tutte le aziende allo stesso modo? E soprattutto: il costo (in termini di tempo, burocrazia, e trasformazione interna) è sostenibile per realtà piccole o settorialmente sbilanciate? In alcune situazioni, il percorso verso la certificazione può apparire più come un onere che un’opportunità, specie quando le politiche richieste non incidono realmente sulla discriminazione di genere, ma solo su KPI da rispettare.

CASE STUDY #1 – Micro-impresa nel settore manutenzione

“La mia è una piccola azienda di manutenzione. Sono il titolare, ho una dipendente donna in amministrazione e tre operai uomini. Posso certificarmi?”

È una domanda legittima, reale, e posta direttamente a Scanavino & Partners. E, tecnicamente, la risposta è sì.

La norma divide le aziende in quattro fasce dimensionali e prevede semplificazioni per micro e piccole imprese. Ma nella pratica, anche per queste realtà, spesso prive di un ufficio HR interno o di una struttura documentale solida, l’applicazione richiede un cambio culturale e gestionale significativo.
Inoltre, in contesti con pochi dipendenti, basta una maternità, una promozione o un’assenza per sbilanciare gli indicatori, creando il paradosso: chi vuole fare bene, rischia di non riuscire a certificarsi. Un effetto collaterale che può alimentare sfiducia nel sistema e far percepire la discriminazione di genere come una trappola normativa, più che un’opportunità di crescita inclusiva.

CASE STUDY #2 – Azienda industriale con 100 saldatori uomini

“Il nostro settore è maschile: 100 saldatori, tutti uomini. Non troviamo personale femminile da assumere. Ha senso certificarsi?”

Anche questo caso è reale e seguito da Scanavino & Partners. Un’azienda del settore industriale con forza lavoro interamente maschile si è trovata di fronte al dilemma: si può parlare di discriminazione di genere se il mercato del lavoro non offre alternative reali?

La UNI/PdR 125 prevede che gli indicatori siano adattati al settore, usando i dati medi delle aziende con lo stesso codice ATECO. Questo è un passo avanti. Ma resta il nodo della percezione: molte aziende temono che la certificazione venga vista come un obbligo di assumere donne “per forza”, alimentando una forma di discriminazione di genere inversa.

Azioni intelligenti, anche nei settori sbilanciati

Non tutte le aziende possono modificare la loro struttura. Ma tutte possono lavorare sulla cultura aziendale e contribuire alla riduzione della discriminazione di genere con politiche inclusive. Ecco alcune iniziative concrete:

  • Descrizioni di ruolo neutrali
  • Selezione con recruiter misti
  • Permessi di genitorialità estesi anche agli uomini
  • Collaborazioni con scuole tecniche per orientare le ragazze ai mestieri tecnici
  • Formazione interna su bias cognitivi, linguaggio inclusivo, leadership paritaria
  • Comunicazione continua, coerente, interna ed esterna
  • Progetti territoriali per la pari opportunità

Molti di questi aspetti possono essere affrontati attraverso il nostro corso parità di genere che è ben strutturato e progettato per trasformare le intenzioni in cultura reale.

I servizi di Scanavino & Partners

Scanavino & Partners offre un approccio pratico, critico e adattato alla realtà aziendale. L’obiettivo non è spingere le imprese verso una certificazione a tutti i costi, ma accompagnarle in un percorso sensato, sostenibile e libero da rischi di discriminazione di genere involontaria.

Il servizio include:

  • Assessment iniziale e Gap Analysis
  • Analisi dati disaggregati per genere (retribuzioni, promozioni, assunzioni)
  • Revisione delle policy HR e dei documenti aziendali
  • Definizione del Piano Strategico DE&I, misurabile e realistico
  • Sistemi di monitoraggio KPI con dashboard intuitive
  • Formazione su misura per management e team operativi
  • Accompagnamento continuo durante e dopo la certificazione

Scanavino & Partners ti aiuta a trasformare un obbligo normativo in una reale occasione di crescita culturale e strategica, senza snaturare la tua organizzazione. E soprattutto, senza cadere nei paradossi della discriminazione di genere normativa.

Dott.ssa Roberta Dascanio

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